Abitare generativo: riscoprire la relazione nella solitudine urbana
L’abitare ha smesso da tempo di essere una semplice funzione. Oggi è un fenomeno sociale complesso, specchio fedele delle tensioni e delle contraddizioni del nostro tempo. Per comprenderne davvero le trasformazioni, dobbiamo smettere di considerare le case solamente come oggetti immobiliari e iniziare a leggerle come luoghi della nostra esistenza.
Le trasformazioni demografiche parlano chiaro: nascono meno bambini, le persone vivono più a lungo, le coppie si sfaldano con maggiore frequenza. Come conseguenza di questi fenomeni, secondo le previsioni dell’Istat (2025)1 nei prossimi venticinque anni la dimensione media delle famiglie italiane scenderà da 2,21 a 2,03 componenti. Non si tratta di un’eccezione temporanea, ma di una traiettoria strutturale: viviamo in nuclei più piccoli, spesso in solitudine. Oggi, nel nostro Paese sono oltre 9 milioni le persone che vivono da sole, un dato destinato ad aumentare sensibilmente. Una situazione frequente, talvolta scelta, ma spesso subita.
Ma la solitudine non è solo una condizione statistica. È una sensazione sempre più diffusa: un italiano su quattro sopra i 16 anni dichiara di sentirsi solo per almeno una parte del proprio tempo. Tra chi vive da solo, la quota raddoppia (Istat, 2023)2. La solitudine, oggi, è un nuovo volto del disagio abitativo.
Eppure, continuiamo a progettare case e quartieri che dividono. Che isolano, anziché connettere. Le nostre città ce lo raccontano: villette, alloggi, condomini rivelano decenni di separazione tra il dentro e il fuori, tra il privato e il comune. L’appartamento diventa così lo spazio simbolico ed esistenziale di una società che teme il contatto, che percepisce l’altro come un rischio e che si rifugia dietro una porta blindata nella speranza di trovare sicurezza. Lo dimostrano i dati: 7 famiglie su 10 adottano almeno un sistema di sicurezza nella propria abitazione (Istat, 2024)3. Abbiamo difeso le nostre vite allontanandole da quelle degli altri e nel frattempo abbiamo smarrito la capacità di “abitare insieme”.
Tuttavia, qualcosa sta cambiando.

Nella frattura tra bisogni emergenti e modelli abitativi tradizionali si fa spazio una nuova visione: quella dell’abitare generativo. Un modo di abitare che non si accontenta della funzionalità, ma che punta sulla relazione, sulla reciprocità, sulla cura. Non è un’utopia, ma una risposta concreta alla crisi di senso e di comunità che attraversa le nostre città.
L’abitare generativo nasce dal riconoscimento che la casa non è un bene di consumo, ma un bene relazionale. È il risultato di un processo collettivo che coinvolge abitanti, sviluppatori, progettisti, amministrazioni, attivatori sociali. Un processo che chiede ascolto, capacità di mettersi in discussione. Perché la fiducia – quella vera – non si compra né si impone: si costruisce.
Progettare l’abitare generativo significa, da un lato, ripensare gli spazi fisici: disegnare luoghi che facilitino l’incontro, che riducano l’isolamento, che incentivino la prossimità. Significa immaginare case e quartieri capaci di accogliere la complessità delle nostre vite: il bisogno di intimità, certo, ma anche quello di supporto, di condivisione, di partecipazione. Dall’altro lato, significa attivare processi di accompagnamento e governance condivisa, perché la coabitazione possa diventare coesione, perché le regole della convivenza siano frutto di scelte comuni, non di imposizioni calate dall’alto.
In un contesto segnato da fragilità diffuse – economiche, relazionali, abitative – l’abitare generativo può rappresentare una risorsa strategica anche per il sistema socioeconomico. In un paese in cui si stima che un terzo delle abitazioni non sia occupato (Istat, 2024)4 e dove allo stesso tempo cresce la vulnerabilità abitativa legata ai costi e alla gentrificazione dei centri urbani, troppo spesso la questione abitativa è vista come un tema strettamente privato di investitori e proprietari. Invece, è urgente ripensare l’abitare come leva di coesione sociale. Non si tratta di “social housing”, nel senso più assistenziale del termine, ma di nuovi modelli in grado di creare valore sociale e, al contempo, generare ritorni economici. Perché la fiducia, oggi, è anche un asset reputazionale.
Le esperienze concrete – in Italia e all’estero – ci dimostrano che tutto questo è possibile. Progetti di coabitazione generativa, abitare collaborativo, rigenerazione territoriale partecipata: non sono soluzioni marginali per nicchie di popolazione alternativa, ma prototipi di futuro. Ogni volta che uno spazio si apre alla cura condivisa, ogni volta che una casa diventa accessibile anziché esclusiva, ogni volta che si attiva una relazione tra sconosciuti, lì sta nascendo un nuovo modo di abitare. Lì sta germogliando un abitare generativo.
Perché abitare generativo significa costruire case che tengano insieme autonomia e appartenenza, diversità e radicamento, fragilità e forza. Significa tornare a sentirci parte, a riconoscerci, a prenderci cura. Significa rendere l’abitare un motore di rigenerazione non solo urbana, ma soprattutto umana.
Perché la rigenerazione autentica non inizia dai materiali, ma dalle relazioni. Non si misura in metri quadrati, ma nella qualità dell’incontro tra le persone. E in questo senso, l’abitare generativo può essere anche una chiave culturale per superare l’atomizzazione sociale che sta impoverendo il tessuto collettivo.
Le istituzioni, da parte loro, possono giocare un ruolo cruciale: attraverso politiche abitative innovative, incentivi per la condivisione, sostegno agli sviluppatori che sperimentano modelli collaborativi. Ma servono anche strumenti urbanistici flessibili, forme di partenariato pubblico-privato e percorsi di accompagnamento per i cittadini. La dimensione relazionale dell’abitare è un desiderio di molti, ma va curata, facilitata, protetta.
In un tempo in cui abbiamo smarrito la fiducia negli altri, l’abitare generativo ci ricorda che la sicurezza più profonda non nasce dal cancello o dal videocitofono, ma da uno sguardo amico sul pianerottolo. Da una parola gentile sul pianeta condiviso. Da una mano tesa nel momento del bisogno. È lì, in quel gesto semplice, che torna a risplendere la possibilità di abitare – davvero – il nostro tempo.
1 Cfr. Istat, Previsioni della popolazione residente e delle famiglie, 20252 Cfr. Istat, Benessere soggettivo, in Rapporto Bes 2022. Il benessere equo e sostenibile in Italia, Istituto Nazionale di Statistica, Roma 2023, pp. 191-2053 Cfr. Istat, La percezione della sicurezza, 2024 4 Cfr. Istat, Caratteristiche delle abitazioni – Today Istat Focus, 2024